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Collaborazioni editoriali

"Su le dentate scintillanti vette salta il camoscio, tuona la valanga da’ ghiacci immani rotolando per le selve croscianti:

ma da i silenzi de l’effuso azzurro esce nel sole l’aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero volo solenne (…)"
 

G. Carducci, Piemonte

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RISORTO DALL'OLTRETOMBA

Poche decine di metri ci separavano dal colle. Alla nostra destra la punta Grané, 2318 m, alla nostra sinistra il Ghincia Pastour, di 2472 m, poco più in là il Viso Mozzo, 3019 m, già coperto dalle nebbie pomeridiane, e dietro di lui, celato, il Monviso. Il Re di pietra è sinonimo di vita selvaggia, aria pura e paesaggi incontaminati: per questi e molti altri motivi eravamo giunti sin lassù anche noi, dopo circa un’ora e mezza di cammino da Crissolo tra i boschi misti e ombrosi prima e pascoli di alta quota poi. Da poco più di mezz’ora ci eravamo lasciati alle spalle una comoda strada sterrata e avevamo imboccato un irto sentiero, che a occhio pareva portare in linea retta sino alla vetta del Monviso. Con brontolii sommessi, celati dal vento fresco, il nostro stomaco ci ricordava che ci eravamo lasciati dietro anche un gustoso pranzo di montagna a base di pane, salumi, formaggi e frutti di stagione consumati all’addiaccio appena prima che le nebbie si lasciassero alle spalle, a loro volta, il caldo sole di fine estate. Dal colle il nostro sguardo avrebbe spaziato nell’ampio vallone alpino fino ad arrivare al celebre Pian del Re, sul versante opposto, celato dietro le cascate. Il sudore ci ricordava a ogni passo che affrontavamo una salita assai ripida, mentre lo sguardo andava al colle soprastante, sempre più vicino. Chiara saliva pochi passi dietro di me, quando i miei occhi furono attratti da due sagome scure volteggianti in cielo oltre il limite del vallone. La distanza era ancora notevole ma la curiosità ci spinse ad affrettare gli ultimi passi verso la meta, dove gli uccelli ci apparvero subito ben più grandi delle presunte poiane supposte a prima vista. Sapevamo che le aquile reali erano diventate ormai comuni in molte aree dell’arco alpino, fin talvolta nei fondivalle, ma vederne due era comunque emozionante! La mia collega, appassionata fotografa, non perse l’occasione di estrarre rapida il suo strumento prediletto e di scattare qualche foto ai due rapaci che, lentamente, salirono in quota per poi allontanarsi verso nord, sospinti dalle correnti. Fu solo dopo aver osservato le istantanee che fummo investiti da un’ondata di meraviglia: le due figure non erano aquile, ma avvoltoi! Eravamo stati al cospetto di due grifoni! ...

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